Il filò era l'usanza contadina di ritrovarsi la sera, dopo cena, per chiaccherare, raccontarsi storie, ascoltare aneddoti ed altri momenti di coesione e condivisione sociale, mentre "ognuno" faceva comunque qualcosa: gli uomini riparavano attrezzi o arnesi, facevano ceste, le donne filavano (da quì, almeno per assonanza, la derivazione del termine), oppure rammendavano, le ragazze si preparavano la dote, i ragazzi "flirtavano", gli anziani tramandavano le loro "lezioni" di vita, i ragazzini ascoltavano favole e leggende.
Si trattava di un ritrovo serale tardo autunnale-invernale, quando rallentavano i ritmi lavorativi in campagna, soprattutto nelle stalle, un locale riscaldato "naturalmente" che faceva risparmiare legna utilizzate nelle case spesso umide e con fessure (c.d. sfese) di ragguardevoli dimensioni.
La durata del filò soggiaceva fino all'ora "da cristiani", dopo la quale bisognava coricarsi, non senza aver recitato il rosario. Temi delle discussioni era il più o il meno, e non mancavano i igochi del filò, momento desiderato dai più giovani perchè era occasione di approcciare le ragazze, sia pure sotto il controllo severe di madri e nonne, in modo che non ci fossero comportamenti "sconvenienti" (e cioè eccessive confidenze).
Questa promiscuità sociale era motivo di preoccupazione morale da parte della Chiesa, anche se veniva osservato il suo insegnamento, per cui si evitavano espressioni volgari o colorite, così come comportamenti equivoci, anche se non mancavano i doppi sensi, e soprattutto, non potevano mancare le "storie", del salbanelo, delle anguane, di strie (streghe) ed orchi e perfino dei morti, capaci di proiettare le "anime" nel mondo fantastico e dell'imperscrutabile.