E' oramai luogo comune asserire che danze e balli accompagnano l'umanità sin dai suoi albori, per cui ogni epoca ha dato loro una pur diversa considerazione, tanto da far dire che nel corso dei secoli è sempre stata lo specchio della società, del pensiero e dei comportamenti umani.
Altro dato assodato è che le danze possono essere ricondotte a due grandi periodi "storici":
Si possono citare ad esempio:
le danze cicliche e pirriche della civiltà greca, ovvero le danze guerriere (il Prosodion, l'Enoplion, Gimnopedie, la Pirrica), le danze religiose (il Ghéranos, la Cariatìdes ...) e le e le danze profane (Apokinos, Bibasis ...), dedicate alla festa, in particolare al teatro;
le danze di epoca romana, fortemente legate allo spettacolo ma anche alla guera (famosa la danza dei Salii, antichissimo collegio sacerdotale).
«con diffusione di Càrole, danzate come un girotondo tenendosi per mano, di Farandole, Ridde e Tresche, balli molto coinvolgenti praticati quasi fino ai giorni nostri. Intanto, i nobili del Medioevo e del Rinascimento, mettono in scena sé stessi con spettacoli e feste caratterizzate da danze lente e stilizzate, costumi meravigliosi, sfilate di carri addobbati e scenografie sorprendenti. Una raffinata forma di spettacolo, con punte eccelse di bellezza, che riconduce la danza negli interessi dell’arte “alta” e la trasferisce nelle corti europee, soprattutto quella francese, dove nasceranno le basi del balletto classico» (così in www.ballettobianco.it).
«Tra le danze popolari quella che viene menzionata più spesso è sicuramente la carola, danza a catena chiusa (le persone si tenevano per mano e danzavano in cerchio), eseguita soprattutto nelle feste di primavera intorno a un albero o a un personaggio che incitava i ballerini battendo mani e piedi a ritmo. La carola è citata più volte da Boccaccio nel Decamerone e anche da Dante nella Divina Commedia. La farandola è invece una danza a catena aperta, nella quale le persone si tenevano ugualmente per mano ma aprivano il cerchio iniziale per dar luogo a nuove evoluzioni e disegni. Altre danze sono la tresca, la ridda e il ballonchio» (così in wikipedia).
Si trovano notizie di un tal Domenico da Piacenza (1390-1470 circa), detto anche Domenichino da Ferrara, quale maestro di buone maniere ed esperto danzatore alla corte della famiglia d'Este di Ferrara, per l'appunto, autore del trattato De arte saltandi et choreas ducendi/de la arte di ballare et danzare, manoscritto datato 1416/1425 (diviso in due parti: la prima teorica con introduzione e trattazione di moti e misure; la seconda pratica con la descrizione e notazione musicale di diciassette balli più cinque basse danze prive di musica) teso a far accettare la danza come arte liberale.
Un suo allievo, Giovanni Ambrosio (così ribattezzato a seguito della sua conversione al cattolicesimo, nato - 1420 circa - Guglielmo Ebreo da Pesaro), è anch'esso noto come coreografo e danzatore la cui attività fu protesa non solo per diffondere la nuova arte della danza di corte, ma soprattutto per portare a compimento quel processo di sublimazione dei gesti e delle posture, tanto che fu autore del trattato De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum (1463(?)):
da wikipedia:
«circolò presso quasi tutte le corti della penisola in diverse redazioni manoscritte, personalizzate a seconda dei committenti. Tra le varie descrizioni che vi sono contenute, si trovano la Piva (il più antico dei balli derivati dal nome di uno strumento agreste, la cornamusa o pipa) e il Salterello (passo popolare in metro ternario, allegro e saltato); il Passo doppio, in tempo quaternario, e la Bassa danza nobile e misurata, dall'incedere solenne e lento, che resta espressione tipica e confinata nel XV secolo.
Nelle mani di Guglielmo, che per un certo periodo fu in contatto con la corte di Lorenzo de' Medici, presso la quale già lavorava il fratello Giuseppe Ebreo, la danza divenne simbolo della divina armonia cosmica, idea quasi certamente mutuata dai dettami della filosofia neoplatonica del circolo ficiniano. Ne è un esempio il Balletto in due, di cui si trova traccia nel Trattato De pratica ....
L'ordine e la concordia, che teoricamente regnano nella corte, si traducono in un tipo di danza, il Ballo Amoroso le cui movenze, sempre misurate, regolate e controllate dalla tecnica, sono garanzia di dignità e prestigio.»
Anche il poeta e scrittore Antonio Cornazzano (Piacenza 1430 circa, Ferrara tra il 1483 e il 1484), coevo dei due precedenti, scrisse in merito (Libro dell'arte del danzare, 1455(?)). Sembra che le sei doti del perfetto danzatore descritte da Guglielmo Ebreo/Giovanni Ambrosio, compresa la distinzione delle quattro misure del danzare (piva, saltarello, quaternaria, bassa danza), fossero già indicate dal Cornazzano:
I requisiti dei "perfetti" danzatori, secondo i primi teorici de ballo, dovevano essere sei (cfr. Alberto Testa, Storia della danza e del balletto, Gremese editore, 2005, pag. 33):
Seguirono, altri "trattati" sia italiani che stranieri (cfr. ad esempio, Fabrizio Caroso, Il Ballarino, Venezia 1581; Thoinot d'Arbeau, Orchesographie, Parigi 1588) e manuali (cfr. John Payford, The english dancing master, 1651).
La danza, dunque, si evolve, per cui da semplice e spontanea improvvisazione e creazione segna il passaggio di una danza tecnicizzata, codificata: